Il surgelamento rallenta il deterioramento del cibo e, sebbene possa fermare il proliferare di microorganismi, non necessariamente li uccide. Molti processi enzimatici sono soltanto rallentati dal freddo. Quindi è consuetudine interrompere l'attività enzimatica prima del surgelamento, attraverso blanching (scottatura) oppure con additivi e non con i conservanti.
Quando si scalda un alimento e si applica il raffreddamento veloce ad un alimento, un ortaggio o un filetto di pesce cioè ad un tessuto vegetale o animale, si osserva una diminuzione della temperatura dalla superficie del prodotto al suo interno. Ad un certo punto l'acqua contenuta nel prodotto cambia di stato trasformandosi in cristalli di ghiaccio.
Se il processo di raffreddamento è lento i cristalli iniziali si dilatano e crescono (congelazione lenta) così il tessuto cellulare e l'alimento si danneggia e provoca una perdita di turgidità dei tessuti e una perdita di liquido tissutale e dei nutrienti in esso solubilizzati.
Invece un'elevata velocità di raffreddamento (processo di surgelamento) promuove nel tessuto la cristallizzazione uniforme di piccoli e omogenei cristalli; tanto più è veloce il raffreddamento tanto più si riducono i danni al tessuto del prodotto, vegetale o animale, che si intende trattare, con il risultato che allo scongelamento il prodotto sarà molto simile al prodotto fresco in termini di turgidità, valori nutrizionali ed organolettici.
Nel 1928 C. Birdseye sviluppò negli USA il primo sistema industriale di surgelamento a contatto, un processo che permetteva di ridurre drasticamente i tempi di surgelamento. La tecnica si sviluppò rapidamente e fu subito chiaro che più veloce era il congelamento degli alimenti migliore risultava la qualità del cibo all'atto del suo utilizzo, anche molto tempo dopo il processo di surgelazione, addirittura fino a sei mesi. Questo è stato possibile per via della disponibilità diffusa della catena del freddo dal luogo di produzione fino al momento del consumo.
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